Il rapporto tra chi governa e chi è governato è formato da un insieme di diritti e di doveri che influiscono sullʼorganizzazione del potere e sul grado di libertà e autonomia concesso agli uni e agli altri.
Questo rapporto non ha sempre avuto le caratteristiche di oggi: nel corso della storia infatti le forme di Stato, cioè i principi e le regole che disciplinano il vincolo che lega popolo e potere politico, è cambiata più volte, spesso attraverso eventi traumatici.
Questo dipinto di Georg Heinrich Sieveking rappresenta lʼesecuzione del re di Francia Luigi XVI, ghigliottinato a seguito della Rivoluzione francese del 1789, che è uno dei momenti di svolta nei rapporti tra Stato e popolo in Europa.
La prima forma di Stato della storia moderna è lo Stato assoluto, caratteristico dei maggiori Stati nazionali a partire dal XV secolo.
Nello Stato assoluto, il potere è interamente concentrato nella mani di un sovrano, che lo acquisisce per diritto di nascita o sottraendolo ad altri con la forza e lo gestisce come una proprietà privata. Il sovrano stabilisce e amministra la legge autonomamente, senza controllo e senza rispondere a nessuno delle sue azioni.
Per questi motivi, i sudditi non godono di alcun diritto effettivo e non sono uguali davanti alla legge, dal momento che, non essendoci alcuna garanzia, ogni decisione a loro favore dipende esclusivamente dalla benevolenza del sovrano.
Lʼesempio più comune di Stato assoluto è la Francia di Luigi XIV (in copertina vediamo un suo ritratto), famoso per la frase "lo Stato sono io". Nellʼimmagine qui accanto vediamo invece il trono di Ivan IV di Russia (1530-1584), detto "il terribile" a causa delle atrocità e degli atti sanguinari commessi durante il suo regno.
A partire dalla metà del settecento cominciarono a diffondersi gli ideali di uguaglianza universale dellʼIlluminismo, e questo spinse alcuni a reagire alla tirannia dei sovrani tramite moti rivoluzionari, come la Rivoluzione francese. Lo stato assoluto fu così pian piano sostituito da una nuova forma, lo stato liberale.
Nello Stato liberale il potere politico non è al di sopra della legge: nasce il principio dello stato di diritto, in base al quale esso stesso è soggetto alle norme giuridiche, e innanzitutto a una legge fondamentale, una Costituzione, che definisce e limita i poteri dello Stato oltre a garantire i diritti fondamentali ai cittadini.
Un secondo principio dello stato liberale è quello della divisione dei poteri: se i sovrani assoluti possedevano tutto il potere politico, nello Stato liberale questo viene diviso in legislativo, esecutivo e giudiziario, e attribuito a istituzioni diverse, che si limitano e si controllano a vicenda.
Inoltre, in questa forma di Stato viene introdotto il principio della rappresentanza, in base al quale la classe politica deve essere eletta dai cittadini, sebbene in questa fase storica il diritto di voto fosse concesso solo ai cittadini di ceto sociale più alto.
La foto mostra unʼedizione de Lo spirito delle leggi, dellʼilluminista francese Montesquieu. Si tratta di unʼopera fondamentale del pensiero politico occidentale, in cui vengono tra lʼaltro sostenuti i principi dello stato di diritto e della separazione dei poteri.
La grave crisi politica ed economica che derivò dalla prima guerra mondiale portò in alcuni paesi a regimi dittatoriali, che in alcuni casi sono stati definiti totalitari perché controllarono totalmente le istituzioni e tutti gli aspetti della vita sociale. Gli esempi principali sono il fascismo italiano e il nazismo tedesco.
In modo simile a quanto avveniva nello stato assoluto, questi regimi facevano riferimento esclusivo alla figura di un capo, che impersonava a un tempo il partito, lo Stato, il paese, il popolo e la nazione. Il potere del capo era sostanzialmente incontrastato e la sua figura era oggetto di una venerazione simile a quella religiosa.
Una delle caratteristiche dello stato totalitario è il partito unico: una volta conquistato il governo, questi regimi si dedicarono ad annientare le opposizioni, molto spesso con mezzi spietati e brutali, fino a mettere fuori legge qualsiasi altro partito politico. Il potere del partito dominante crebbe enormemente e il confine stesso tra partito e stato si confuse.
Il potere totalitario invase abbondantemente anche la vita privata: in questi regimi ogni aspetto della vita sociale era gestito da apposite associazioni derivanti dal partito. In questo modo era possibile controllare subdolamente il popolo e limitarne la libertà. Anche solo non avere la tessera del partito era considerato sospetto ed era motivo di attenzione da parte delle autorità. Tutti erano inoltre tenuti a partecipare a spettacolari adunate, come quella dal partito nazista che vediamo nella foto.
In Russia, a seguito della rivoluzione bolscevica del 1917, fu istaurato un regime ispirato ai principi del pensiero politico socialista di Karl Marx. La teoria socialista ritiene che lo stato abbia il compito di prendere il controllo sul sistema produttivo, in modo da appianare le ingiustizie sociali causate dal liberismo economico, prendendo da tutti quanto è possibile e dando a ciascuno quanto necessario.
Nella pratica, il regime che si instaurò in Russia (poi Unione Sovietica) e in molti altri paesi dell’est Europa e dell’Asia ebbe molto in comune con gli stati totalitari. Anche qui il partito unico era la regola e il segretario generale esercitava il potere praticamente incontrastato, sebbene all’interno di un intricato sistema burocratico; il dissenso era punito severamente e le libertà fondamentali ampiamente negate.
Dal punto di vista economico, lo stato socialista prese il controllo totale della produzione e soppresse la libertà di iniziativa economica. Tutta la produzione nazionale veniva programmata dal partito attraverso l’elaborazione di un piano pluriennale. L’estrema conseguenza di questo approccio fu l’abolizione di fatto della proprietà privata.
Il socialismo ebbe vita più lunga dei totalitarismi fascisti e nazisti: solo nel 1991 il sistema della pianificazione economica dell’Unione Sovietica collassò su se stesso, insieme al suo colossale apparato burocratico.
Nell’immagine, un manifesto del Partito comunista cinese del 1969 che raffigura il leader Mao Tse Tung (1893-1976), soprannominato dalla propaganda “il grande timoniere”. La scritta dice: “Navigare in mare è compito del timoniere, guidare la rivoluzione è compito di Mao Tse Tung”.
Con la fine della seconda guerra mondiale i totalitarismi tedesco e italiano furono eliminati e al loro posto nacquero regimi ispirati ai principi democratici. Il modello dello stato democratico si affermò così in gran parte del mondo occidentale.
Lo stato democratico riprende alcuni dei principi dello stato liberale che erano stati calpestati dai totalitarismi, sviluppandoli e potenziandoli, in particolar modo riguardo ai diritti fondamentali. In particolare, le Costituzioni sono ora elaborate e approvate da assemblee elette, non più concesse dai sovrani come nello stato liberale. Il diritto di voto è stato man mano esteso a tutti i cittadini e le cittadine, in modo da rendere effettivo il principio della sovranità popolare.
A differenza dello stato liberale, il cui intervento in campo economico era molto limitato, lo stato democratico si impegna a rimuovere le diseguaglianze con la redistribuzione del reddito: preleva la ricchezza dei cittadini tramite i tributi e la impiega per aumentare il benessere generale e sostenere le situazioni critiche. Lo stato democratico interviene dunque in campo economico, ma senza impedire l’iniziativa privata come nello stato socialista.
Nell’immagine, cittadini e cittadine a Napoli in fila per votare per le elezioni del 1946. Fu un momento storico per l’Italia: si stabilì la composizione politica dell’Assemblea costituente, venne deciso che l’Italia sarebbe stata una repubblica e le donne votarono per la prima volta.