Una legge costituzionale stabilisce le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale, e le garanzie d’indipendenza dei giudici della Corte.
Con legge ordinaria sono stabilite le altre norme necessarie per la costituzione e il funzionamento della Corte.
Contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione.
L’art. 137 fu attuato con le leggi costituzionali n. 1 del 9 febbraio 1948 e nn. 1 e 87 dell’11 marzo 1953. Le leggi statuirono che la questione di legittimità doveva essere sollevata solamente nel corso di un processo, negarono ai singoli cittadini la possibilità di promuovere il giudizio di legittimità al fine di non ostacolare il regolare funzionamento della Corte e decisero l’inappellabilità delle sentenze emesse dalla Corte costituzionale.
Poiché la Costituzione non ha fissato le regole per l’attivazione e lo svolgimento di un procedimento davanti alla Corte costituzionale, le condizioni per l’ammissibilità del giudizio e gli atti necessari al suo funzionamento sono dettati dalla legge n. 87 del 1953, secondo la quale la Corte può «disciplinare l’esercizio delle sue funzioni con regolamento approvato a maggioranza dei suoi componenti». Nel corso degli anni, la dottrina ha ribadito più volte che le decisioni della Corte costituzionale non sono né appellabili, né sottoponibili al controllo da parte di altri giudici.