I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno.
Che cosa significa? Il diritto di voto attivo per il Senato, spettante solamente agli elettori che hanno compiuto venticinque anni, costituisce una deroga all’art. 48, che definisce elettori gli uomini e le donne “che hanno raggiunto la maggiore età”. Secondo una parte della giurisprudenza, una simile differenziazione di età “costituirebbe uno scarto troppo ampio” e sarebbe espressione “di quel principio gerontocratico che è stato in ogni tempo un correttivo della democrazia”.
Fino a oggi la differenziazione di età fra gli elettori della Camera e del Senato non ha prodotto maggioranze di segno diverso, ma, a partire dalla tornata elettorale del 1994, ha determinato una maggioranza “alquanto risicata” al Senato. Quanto all’età minima di quarant’anni per essere eletti in Senato, questa soglia servirebbe a determinare “la corrispondenza tra maturità intellettuale ed efficiente adempimento della funzione pubblica elettiva”.
Ma perché...? Il diritto di voto per il Senato e il diritto di candidarsi al Senato dipendono da un fatto anagrafico: l’età; così facendo, è come se la Costituzione volesse tutelare la stabilità repubblicana, che potrebbe essere messa a repentaglio dalle scelte “irruenti” dei giovani.
Per molti versi, questa norma appare un retaggio del passato, quando l’età suppliva alla mancanza di formazione e di cultura. Nella storia repubblicana la contrapposizione tra vecchi e giovani, anche quando è stata presente nella società civile (ad es. durante la rivoluzione giovanile alla fine degli anni Sessanta), non si è trasformata in una contrapposizione politica tra partiti dei giovani e partiti dei meno giovani.