La giustizia è amministrata in nome del popolo.
I giudici sono soggetti soltanto alla legge.
Che cosa significa? Circa l’art. 101, la dottrina lo ha interpretato sostenendo che la «norma avrebbe lo scopo di ribadire che il popolo costituisce la fonte di legittimazione di tutte le funzioni statuali, esercitate a suo nome dallo Stato». Il legame fra il popolo e i giudici risiederebbe nel fatto che questi sono sottoposti alla legge, da intendersi come interpretazione della volontà popolare a opera del Parlamento (l’organo, eletto dai cittadini, a cui spetta la funzione legislativa).
La dottrina è concorde nel sostenere che l’art. 101 è volto a garantire l’indipendenza funzionale (ovvero, l’esercizio della funzione giurisdizionale) di ogni giudice nei confronti del Governo, del potere legislativo e degli altri giudici.
Ma perché...? Per i giudici non esiste l'obiezione di coscienza: anche se non sono d'accordo con una legge, essi devono comunque applicarla nei casi e nelle forme prescritte. Per esempio, se una legge prevede un certo tipo di pena per un reato, una volta acclarata la colpevolezza dell'imputato, giudice deve condannarlo alla pena prescritta, anche se magari, in cuor suo, la ritiene ingiusta. Questo è il senso del secondo comma della legge e la dottrina prevalente ritiene che questo vieti sempre ai giudici di non applicare una legge.
Una circostanza diversa si viene a creare quando i giudici nutrono dubbi sulla costituzionalità della legge. In questo caso hanno la facoltà di sollevare una questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale.