Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.
Che cosa significa? Questo articolo rafforza quanto indicato dal precedente a proposito della libertà di culto. In particolare, si vogliono evitare forme di discriminazione attraverso una legislazione speciale o provvedimenti di carattere fiscale. In realtà la preoccupazione di alcuni Costituenti era che la Chiesa cattolica potesse in questo modo ricreare la cosiddetta “manomorta”, ossia il patrimonio perpetuo e inalienabile degli enti religiosi o civili. L’istituto giuridico della manomorta costituisce un danno economico per lo Stato, che non può imporre imposte di successione o sulla vendita. I Costituenti conclusero che questo rischio era evitato dalla legislazione vigente.
Ma perché...? Questo articolo è ispirato allo stesso principio di non discriminazione che abbiamo trovato nell’art. 19. A riprova di quanto un articolo della Costituzione possa restare inattivo a lungo e poi diventare attivo, segnaliamo che, negli ultimi anni, l’art. 20 è tornato al centro dell’interesse dottrinario in quanto viene utilizzato per valutare i requisiti dei gruppi religiosi che aspirano a ottenere lo status di confessione religiosa. Per esempio, il riconoscimento del Centro islamico culturale d’Italia e dell’Unione buddista italiana è stato fondato proprio sulla logica antidiscriminatoria dell’art. 20. In ogni caso questo articolo garantisce la libertà delle associazioni a carattere religioso rispetto a forme di discriminazione perpetrata attraverso una legislazione speciale o vessazioni di carattere fiscale.
Ma sulle esenzioni di carattere fiscale degli enti religiosi è in corso un acceso dibattito, soprattutto quando a essere coinvolte sono strutture di ricovero o di ospitalità legate a confessioni religiose.