Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità.
Che cosa significa? L’articolo affida alle due Camere il compito di svolgere, nei confronti dei propri componenti, il giudizio di convalida (superato il quale l’eletto acquista effettivamente la qualifica di parlamentare) e il giudizio di decadenza (che, confermando le eventuali cause di ineleggibilità e di incompatibilità, fa decadere la nomina dell’eletto).
Il procedimento segue un itinerario ben preciso e passa per la Giunta delle elezioni alla Camera e la Giunta delle elezioni e delle immunità al Senato: il loro compito è svolgere la funzione istruttoria e referente, in modo tale da formulare i giudizi da sottoporre al voto dell’aula. L’aula della Camera o del Senato, sentite le relazioni della propria Giunta, assume la decisione finale in merito alla conferma o alla decadenza di ogni singolo eletto. Le due Giunte quindi, pur essendo formate anch’esse da parlamentari, non sono organi giudicanti.
Ma perché...? Questa norma rende il Parlamento tribunale di se stesso rispetto all’elezione e al mantenimento della carica di parlamentare. Potremmo chiederci perché sia il Parlamento a svolgere tale funzione e non invece un altro organo, come in effetti qualche Costituente aveva proposto; la risposta è semplice: perché in questo modo il Parlamento finirebbe con il dipendere da un altro organismo e non sarebbe del tutto sovrano.
Ma non si corre in questo modo il rischio che una parte del Parlamento non applichi ai propri compagni di partito la clausola di incompatibilità? Dopo la riforma del sistema elettorale in senso maggioritario avvenuta nel 1993, la dottrina ha effettivamente evidenziato il rischio che il procedimento di verifica subisca una “distorsione maggioritaria”, ovvero tenda a difendere il risultato ottenuto dalla maggioranza.