Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.
Che cosa significa? L’articolo, così come è stato inteso dalla dottrina, riconosce l’idea che un eletto in Parlamento debba essere interprete dell’interesse comune e non degli interessi di un gruppo particolare. Questo principio è stato ribadito anche dalla sentenza n. 422 del 1995 della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato illegittime le norme che imponevano una quota prestabilita di candidati di sesso femminile (le cosiddette “quote rosa”): questo perché “le elette si sarebbero trasformate nelle rappresentanti di un gruppo di interesse destinate ad agire, rispetto ad esso, con scarsa autonomia”.
Quanto al libero mandato, esso può essere inteso sia come un “vero e proprio obbligo per i parlamentari di non tenere conto di eventuali accordi con gli elettori”, sia come la libertà di scelta di uniformarsi o di discostarsi dalle indicazioni del gruppo parlamentare di appartenenza: questa seconda interpretazione sembra incontrare il maggiore sostegno della Corte costituzionale.
Ma perché...? Quello della libertà di mandato è un argomento controverso: vediamo i due aspetti della questione.
Senza libertà di mandato, un parlamentare non sarebbe altro che una pedina del proprio partito, privo della possibilità di scelte autonome. Il vincolo di mandato potrebbe impedire a un parlamentare di svolgere con coscienza il proprio lavoro. Inoltre il voto a un candidato esprime la preferenza per la sua persona e le sue idee, non solo quella per il partito con cui si presenta alle elezioni.
D’altro canto, proprio in base alla libertà di mandato, un candidato può essere eletto in un partito e poi “cambiare casacca”, passando a un altro partito, magari dalla maggioranza all’opposizione (facendo così cadere il Governo) o dall’opposizione alla maggioranza (divenendone la “stampella” nei momenti di difficoltà). In questo modo la libertà di mandato svincola il parlamentare dalla permanenza nel partito in cui è stato eletto.