I membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla legge.
Che cosa significa? L’articolo stabilisce che ai parlamentari spetta un’indennità, ossia un certo ammontare di denaro; concettualmente l’indennità è diversa dallo stipendio, che è legato al ruolo, all’anzianità ecc. La prima attuazione dell’art. 69 si è avuta con la legge n. 1102 del 1948, che stabiliva un’indennità composta da una quota fissa mensile e da una diaria quale rimborso spese stabilito dagli Uffici di Presidenza delle Camere. Nel 1965 la materia è stata riformata con la legge n. 1261, che fissava un tetto massimo per l’indennità e per la diaria.
A partire dal 1965 sono stati riconosciuti ai parlamentari altri benefici: un assegno di fine mandato; un assegno vitalizio; rimborsi forfettari per le spese inerenti al mantenimento del rapporto con gli elettori, per le spese di trasporto e telefoniche; tessere per la libera circolazione sulle reti autostradale, ferroviaria, aerea e marittima.
Quanto al trattamento tributario, la legislazione ha ribadito l’esenzione fiscale per qualsiasi forma di rimborso spese, mentre ha disposto la tassazione integrale dell’indennità.
Ma perché...? Perché i parlamentari ricevono un’indennità? L’attività parlamentare, se condotta con serietà, impedisce o limita un’attività lavorativa, specie se si tratta di una forma di lavoro dipendente; il parlamentare deve inoltre vivere a Roma, dove ha sede il Parlamento, e deve poter tornare a casa o visitare il suo collegio elettorale; può anche dover viaggiare per il Paese, dover pagare collaboratori ecc. Se un parlamentare non ricevesse una sorta di compenso, non potrebbe svolgere la propria attività, a meno di non essere decisamente abbiente.
Ma quanto guadagnano i parlamentari? Ed è giusto che guadagnino tanto? Queste due domande sono frequenti nell’opinione pubblica. Si tratta in effetti di un tema all’ordine del giorno, oggetto di un aspro dibattito che vede contrapposti, anche tra le fila dei parlamentari, due schieramenti: coloro che criticano questo sistema, accusandolo di essere degenerato in uno spreco di denaro pubblico, e coloro che lo sostengono, ritenendolo necessario per far fronte ai cosiddetti “costi della politica”.