Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.
In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri.
Che cosa significa? L’art. 90 garantisce al Presidente della Repubblica una piena libertà d’azione affermando che non è responsabile «degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni».
Per quanto concerne i reati commessi al di fuori dell'esercizio delle proprie funzioni, il Presidente è «penalmente responsabile e punibile come qualunque altro cittadino».
Il secondo comma dispone la possibilità che il Presidente venga posto in stato di accusa dal Parlamento riunito in seduta comune con una maggioranza assoluta per evitare che la procedura assuma il carattere di una manovra politica. Lo stato di accusa può essere deliberato in caso di alto tradimento (ovvero, un comportamento che viola il giuramento di fedeltà alla Repubblica) o di attentato alla Costituzione (cioè una condotta volta a sovvertire le istituzioni costituzionali oppure a violare la Carta costituzionale).
Ma perché...? La messa in stato d'accusa è una procedura che nella storia della Repubblica italiana solo una volta è stata promossa, ma non è mai stata portata a termine. Il Presidente Cossiga infatti venne accusato di voler attentare alla Costituzione con le sue dichiarazioni (passate alla storia come le “picconate” di Cossiga). L'accusa fu depositata formalmente, ma Cossiga si dimise due mesi prima della fine del suo mandato (nel 1992) e quindi il procedimento non ebbe seguito.
In altre circostanze la messa in stato di accusa venne minacciata. In un caso contro il Presidente Leone, che però si dimise, e in un altro contro il Presidente Scalfaro, ma la procedura non ebbe inizio.